Abitare il mondo significa decidere come stare, prima ancora di decidere cosa fare.
Significa riconoscere che ogni gesto — acquistare, curare, parlare, tacere — costruisce uno spazio. E che quello spazio, prima o poi, ci somiglia.
Viviamo in un tempo che confonde il pieno con il vero.
Accumula oggetti, parole, promesse.
Ma non tutto ciò che riempie nutre.
Abitare il mondo, per me, è:
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scegliere il necessario
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ridurre il rumore
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lasciare che le cose abbiano tempo
È una pratica di sottrazione, non di rinuncia.
Togliere il superfluo per lasciare emergere ciò che resta
Questo spazio nasce così.
Non come vetrina, ma come luogo.
Un luogo dove le cose non gridano per essere scelte,
e le scelte non hanno bisogno di giustificarsi.
Abitare il mondo non è fuggire.
È stare, con attenzione.
È trattare il corpo, la casa, il tempo e il lavoro con la stessa cura.
Forse è questo, oggi, il gesto più radicale.
Questo non è un invito a cambiare vita.
È un invito a cambiare postura.